mercoledì 27 febbraio 2019

FINTI PROFUGHI HANNO CAPITO CHE LA PACCHIA PER LORO E' FINITA, QUINDI HANNO DECISO DI AUTOSPELLERSI DALL'ITALIA.


FINTI PROFUGHI SE NE VANNO: “DEMORALIZZATI DA SALVINI”





Sanno che la pacchia è finita, e si autoespellono tentando la via di altri Paesi più ospitali.






Lunedì 18 febbraio davanti alla sede della cooperativa La Fenice in via M.O. Briolini angolo via Duca d’Aosta ad Albino, Bergamo, i giovani richiedenti asilo si sono dati appuntamento cercando il presidente e il responsabile del progetto “Richiedenti asilo” lamentano il ritardo della paghetta, il loro “pocket money” che lo stato italiano regala a ogni richiedente asilo per gli stravizi quotidiani.
Fabrizio Persico, presidente della cooperativa La Fenice, ne approfitta per prendersela con Salvini: «Da tempo la preoccupazione è alta e la situazione è tesa, ma è andata progressivamente peggiorando in queste ultime settimane per alcune ragioni che i nostri giovani mal tollerano».
La situazione che si è creata ha a che fare con il Decreto Salvini?
«Da quando è stato approvato le cose stanno andando male perché le Commissioni addette all’esame della “richiesta di asilo” non rilasciano più permessi e quindi risultano vanificati tutti gli sforzi che negli anni i ragazzi hanno profuso per imparare l’italiano, trovare un lavoro, rendersi disponibili per attività di volontariato e costruire così la propria integrazione. Un disastro. E anche chi, la Caritas, le cooperative sociali, tante parrocchie, tanti Comuni, gli oratori, tutti quelli che in questi anni hanno lavorato per costruire progetti per aiutare l’integrazione oggi appaiono demoralizzati».
Come vivono i ragazzi questa situazione?
«Se ne stanno andando senza nemmeno attendere la notifica del diniego, ma questo andarsene non è affatto un buon segnale. Qualcuno se ne va addirittura in anticipo rispetto ai tempi programmati dell’accoglienza e rinuncia a qualche mese, in qualche caso anche a un anno, di ospitalità perché ritiene che non valga più la pena aspettare senza alcuna speranza. Non è un buon segnale perché quelli che si eclissano non si sa bene dove vadano a finire: in qualche caso vanno al Sud perché hanno sentito dire che laggiù è più facile trovare lavoro, quasi certamente in nero, nel mondo dell’agricoltura. Non che qui si lavori sempre con un contratto regolare, ma gli enti che fanno accoglienza (la Caritas e le cooperative sociali) hanno sempre cercato di sorvegliare anche questo aspetto, oltre a curare la frequenza della scuola di italiano, a provvedere all’abbigliamento, all’assistenza sanitaria e legale, al vitto e all’alloggio e a costruire progetti che facilitino l’integrazione».
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Si deve ricordare a questi personaggi che hanno parassitato i contribuenti per anni, che chi fugge dalla guerra si accoglie finché non è finita, non si lavora per farli ‘integrare’: questa è sostituzione etnica, non accoglienza.
Ma siccome non sono mai stati in fuga dalla guerra, l’obiettivo era un altro: farsi mantenere e rubare il lavoro agli italiani accettando paghe da fame, tanto vitto e alloggio erano garantiti.
Se ne vanno? Bene. Caritas e altri parassiti dell’accoglienza sono ‘demoralizzati’? Bene.
E non dimenticate di andare affanculo.







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