mercoledì 31 luglio 2019

STUPRO, PARLA LA RAGAZZA ITALIANA VIOLENTATA DALL’AFRICANO: «HO LOTTATO PER UN’ORA»





STUPRO, PARLA LA RAGAZZA ITALIANA VIOLENTATA DALL’AFRICANO: «HO LOTTATO PER UN’ORA»




Lo avevano già arrestato il 3 aprile del 2014. L’accusa era l’aggessione ad una donna nel parcheggio di un supermercato. Due anni dopo tribunale lo aveva condannato a un anno e due mesi di carcere per violenza sessuale, ma la pena era stata sospesa perché incensurato.
«A un certo punto ero esausta, non vedevo l’ora di finirla. Gli ho detto di fare quello che voleva». Quello che la 27enne stuprata la sera del 7 giugno, a Osio Sotto, consegna ai carabinieri di Treviglio, è il racconto di un incubo. È stata lei stessa a chiamare il 112 e il suo titolare dal numero fisso del negozio, in una zona commerciale, dove nessuno ha sentito le sue urla disperate. Il telefonino lo aveva lasciato in macchina per un’assurda coincidenza. Quella sera, si era trattenuta oltre l’orario di chiusura. Una volta in auto, si era resa conto di avere dimenticato l’incasso. Così è tornata indietro senza portare con sé la borsa. Forse sarebbe servito a poco, ma non ha nemmeno potuto contare sul cellulare.
Moustapha Diop, 29 anni, senegalese con famiglia di origine a Verdellino, l’attendeva sulla porta con un coltello in mano:
Già condannato nel 2014 per violenza sessuale, uscì di galera dopo 24 ore. Ha segregato, rapinato, violentato una commessa 27enne a Osio Sotto,a Bergamo. Ha rapinato e violentato una commessa di 27 anni in un centro estetico di Osio Sotto, nel Bergamasco.

È in carcere dal 25 giugno, il fermo è stato convalidato, lui si è avvalso della facoltà di non rispondere. Anche il suo avvocato Alessandro Bresmes, in questa fase, sceglie il silenzio.
Il senegalese ha un precedente specifico risalente al 3 aprile 2014, quando, sempre a Osio Sotto, fu arrestato e rilasciato nel giro di un giorno. Poi, la condanna con pena sospesa a un anno e due mesi e la revoca del permesso di soggiorno nel 2016. Ma non era stato espulso. Perché aveva famiglia, come dicono i soliti magistrati.
«Mi teneva bloccata a terra e continuava a toccarmi nelle parti intime», la drammatica testimonianza della vittima, che ai carabinieri ha dovuto spiegare come ha tentato di difendersi in un’ora di supplizio. Ha sferrato pugni, ha graffiato e ha morsicato la mano con cui l’aggressore cercava di impedirle di urlare. Alla fine, schiaffeggiata e picchiata a sua volta, non aveva più forza nelle braccia. Ha ceduto per poi avere una reazione di rabbia. Dopo la violenza, quando si è alzata da terra, lo ha visto avvicinarsi alla porta per fuggire, ma non trovava il pulsante per l’apertura automatica. Lo ha insultato, ha minacciato di non lasciarlo andare. Era così disperata che quasi non aveva più paura, ha confidato tra le lacrime il giorno successivo in caserma, quando lo ha riconosciuto nell’album che le è stato sottoposto.
A Verdellino, nella casa dove vivono i genitori, il fratello e le due sorelle di Diop, perché le bestie si moltiplicano come bestie, gli investigatori si sono presentati subito dopo. Lui era irreperibile e tutti hanno cercato di coprirlo.
La madre dello stupratore ha riferito che era in Spagna da un mese, ma dai telefonini è subito risultato altro. Diop avrebbe vagato per tutto il tempo in zona, rifugiandosi durante la notte in un capannone abbandonato del paese.
Le indagini hanno fatto un balzo in avanti dopo il 13 giugno, grazie alla denuncia di una lituana di 30 anni, aggredita in strada da un ragazzo dalla pelle scura, sempre a Osio Sotto.
E una romena che ha riferito di essere stata a sua volta rapinata, a novembre 2018, da un giovane africano che aveva poi rivisto in strada. Le hanno sottoposto 14 fotografie: ha riconosciuto al cento per cento Diop. È stato a questo punto che il pm ha disposto il fermo, seguito dall’incidente probatorio del 10 luglio quando la 27enne e la romena si sono ritrovate nella stessa stanza, in Procura, con Diop e altri tre senegalesi. La ragazza del negozio è scoppiata a piangere.
Il cerchio si è chiuso con il Dna: quello isolato dalle tracce biologiche recuperate sulla scena dello stupro e in ospedale, dove la vittima si è fatta visitare quella stessa notte, corrisponde al profilo dell’indagato.
Salvini parla di ‘castrazione chimicha’: no, ci vuole quella fisica. Ma soprattutto urgono rastrellamenti e clandestini che ammanettati e bendati salgono su aerei che se li riportano a casa, a meno che, in volo…
E poi, basta con i ricongiungimenti familiari, è così che gli stupratori entrano a casa nostra. Con un fratello e due sorelle.
















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