IL DELIRIO DEL REGISTA PAKISTANO: “ALLAH AMA I GAY, NOI PIÙ AVANTI DELL’ITALIA”
GIUGNO 28, 2021
Ama anche i pedofili, uno di questi l’ha fatto suo profeta.
Sul fatto che in Pakistan se lo mettano dove non si dice siamo d’accordo, è pratica comune in tutto il mondo islamico. Ma non è un privilegio di altri uomini, vanno bene anche capre e tubi di scappamento. Questo è dovuto alla repressione sessuale che tiene le donne chiuse in casa, e causa altri effetti collaterali: matrimoni precoci, epidemia di stupri e altro.
E’ anche il frutto, con il basso QI nazionale, dei matrimoni incestuosi tra consanguinei. La normalità in Pakistan. Perché loro sono avanti.
In questo le società islamiche e quelle progressiste sono molto simili, in entrambe la donna è la vera vittima.
L’inaccettabile paradosso del regista pakistano Kazmi arriva come un pugno nello stomaco: “Allah ama i gay”. Sul Ddl Zan “noi più avanti dell’Italia”. Peccato che sulle donne in Pakistan… Nei giorni in cui, dopo il caso di Saman, il dibattito sul Islam e dettami del Corano imperversa, sempre più infuocato, le parole del regista pakistano Wajahat Abbas Kazmi riecheggiano una bomba artigianale realizzata col paradosso. Già, perché dopo tutto quello che abbiamo imparato a conoscere attraverso i casi che hanno funestato proprio la nostra cronaca. Dopo il delirio di dichiarazioni rilasciate qua e là da emigrati in Italia del sub continente indiano sulla scomparsa della 18enne pakistana, sparita, molto probabilmente uccisa dai familiari, per rimuovere la vergogna del no alle nozze combinate rivendicato dalla vittima. E ancor di più: sul ruolo della donna e sulla sua mancata emancipazione.
Dopo le segregazioni, le punizioni, le uccisioni inferte alle giovani immigrate islamiche di seconda generazione (per non parlare delle lapidazioni pubbliche e degli sfregi con l’acido decretate ed eseguite contro le musulmane ree di aver disobbedito alla sharia in patria, anche solo per aver utilizzato un telefonino). Ebbene, dopo tutto questo, sentir dire al cineasta pakistano che «L’Islam non è lo stesso ovunque». E che «Allah ama l’uguaglianza», perché «ama tutti», suona davvero come inascoltabile. E non è neppure tutto. Perché il regista pakistano Wajahat Abbas Kazmi – suo il docu-film Allah loves equality, girato insieme all’associazione Il Grande Colibrì di cui è cofondatore e con il patrocinio di Amnesty International – ostenta come fosse una medaglietta sul petto, il fatto che «in Pakistan ci sono associazioni per trans, gay e lesbiche. Ci sono attivisti che lavorano apertamente e liberamente».
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Peccato che le donne in Pakistan non rientrino nello schema dei diritti civili
Peccato che le donne non rientrino nella schema che il cineasta rivendica come tanto evoluto. Tanto da vantarsi del traguardo raggiunto nella tua terra natia in materia di Ddl Zan. Un vanto che Kazmi rilancia rilanciando che, sempre in Pakistan, nel 2017, sarebbe stata approvata una legge che riconosce i pieni diritti alle persone transgender e condanna con sanzioni atti di violenza e discriminazioni nei loro confronti. «Una legge che in Italia ancora non esiste e che dimostra come in Pakistan siano stati compiuti molti passi in avanti», ribadisce il regista parlando con l’Adnkronos di Islam e omofobia, il giorno dopo la lettera di Papa Francesco al prete gesuita che difende i diritti Lgbtq in cui scrive «Dio ama tutti, Dio è il padre di tutti».
Peccato che in questo “tutti” non sembrino rientrare ancora le donne. Il sesso debole che buona parte del Pakistan rurale soprattutto sembra continuare a sottomettere a e relegare in un silenzio di sopraffazione maschilista, sordo a qualunque richiamo umanitario e prodromico a una violenza e fisica e psicologia che purtroppo abbiamo imparato a conoscere anche dalle comunità islamiche presenti nel Belpaese. Eppure, il regista Kazmi continua: «In Pakistan esiste una comunità Lgbtq molto aperta e molto forte, nessuno se lo aspetta perché ‘c’è un preconcetto rispetto ai Paesi islamici pensando siano tutti uguali». Certo, ammette il cineasta incredibilmente, «chi è omosessuale può essere condannato, da tre a dieci anni di carcere. Ma l’aspetto positivo è che questa legge omofoba non viene mai applicata perché è un’eredità del colonialismo inglese che non siamo riusciti ad abolire. A differenza dell’India. Ma non c’è fretta perché non viene condannato nessuno».
E poi aggiunge: «In Pakistan c’è tolleranza perché veniamo dalla realtà indù che è molto diversa da quella dell’Arabia Saudita o di altri Paesi che sono più conservatori e fondamentalisti», spiega Kazmi. Che racconta di «imam gay» e afferma che «la maggioranza della popolazione in Pakistan è bisessuale. Perché è difficile avere rapporti sessuali con una donna prima del matrimonio e per questo è più facile averli con persone dello stesso sesso». Ma «poi ci si sposa e si diventa eterosessuali. E anche omofobi», dichiara con un sorriso amaro. Lui, che a 18 anni era stato promesso in sposa a una cugina prima di dichiarare alla famiglia la sua omosessualità. Insomma, un delirio che ammette e nega tutto e il contrario di tutto. E che è innegabile che, da sempre, abbia individuato sempre soprattutto una vittima: la donna. E il suo diritto all’emancipazione e all’autodeterminazione.
Del resto, non sono 72 i giovanetti che, insieme alle 72 giovinette, attenderebbero in paradiso per sollazzare i “martiri di Allah”, di cui il Pakistan è esportatore DOP?
Testa di Kazmi, siccome siete così avanti torna a casa tua a dire certe cose e poi mi racconti. Islamabad vista dal tetto dev’essere una figata.