Che la CGIL avesse da tempo tradito i lavoratori italiani era già cosa nota, meno noto il tentativo in atto di sostituire i nostri braccianti con i braccianti africani, al fine di trarne un nuovo bacino di tesserati, l’ormai storica attività delle sedi CGIL in Africa, ne è la dimostrazione.
Sul sito dell’INCA, il Patronato della CGIL, infatti, risulta che le sedi aperte all’estero, (America, Europa, Oceania, Asia) servano ad assistere le comunità di italiani emigrati oltre i confini nazionali, così non è però per le sedi aperte in Africa, rientranti nel dipartimento “Area Migrazioni e Mobilità internazionali”.
In particolare, nel 2014 veniva inaugurata la sede del centro di Tunisi, che si andava ad aggiungere a quelle aperte circa un decennio prima in Senegal e Marocco. A questo proposito, il sito INCA confessa candidamente: “Negli ultimi anni, l’aumento del fenomeno immigratorio ha indotto l’Inca ad aprire sedi anche in Senegal, Tunisia e Marocco dai quali proviene una buona parte dei lavoratori stranieri che intendono stabilirsi nel nostro Paese”.
La finalità dell’attività della CGIL in Africa è dunque chiarissima: promuovere la deportazione di africani in Italia, mediante tutta una serie di attività assistenziali fornite a chiunque intenda lavorare in Italia, e, contestualmente, aiutarli ad aggirare ostacoli e norme che cerchino di contenere il fenomeno; il tutto condito da un ingente flusso di soldi pubblici, percepiti ogni anno dall’INCA.
Valerio Arenare, segretario nazionale del #SINLAI: “La CGIL non solo ha tradito i lavoratori italiani, ma, vista l’emorragia di iscritti che sta subendo, ha intrapreso, da oltre dieci anni, una campagna per la loro progressiva sostituzione con manodopera africana, più avvezza a non avere pretese salariali e diritti sociali. Il sindacato della Camusso, per giunta, recluta braccianti direttamente in Africa, incentivandone la deportazione in Italia per poi ipocritamente manifestare a favore dei loro diritti contro il caporalato e formare nuovi quadri sindacali”.
Gli fa eco Giustino D’Uva, dirigente nazionale: “La sostituzione etnica degli italiani sui posti di lavoro è una realtà, per di più, con ogni probabilità, questa attività è finanziata con i soldi dei contribuenti italiani, percepiti copiosamente da un sindacato ormai trasformatosi in comitato d’affari. Per queste ragioni, ci opporremo con ogni mezzo; il primo passo è la denuncia pubblica e la controinformazione, ma seguiranno anche azioni di contrasto”.
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