MILANO, COSÌ IL CONDOMINIO È DIVENTATO UNA MOSCHEA
Alle 9 del mattino del 26 settembre 2014 un vigile di quartiere della zona intorno alla stazione Centrale scende la rampa che dà accesso al cortile di un palazzo in via Guido Cavalcanti, civico 8. Entra nel magazzino semi interrato sul retro del palazzo e trova il signor Abu Hanif P., responsabile della «Bangladesh cultural and welfare association». Il magazzino, in quel momento, è un cantiere. Il vigile annoterà nel suo verbale che sono in corso «la ristrutturazione di due servizi igienici, l’edificazione ex novo di altri tre bagni, corredati da servizi sanitari, nonché da un numero imprecisato di lavandini e lavabi per i piedi».Lo stesso responsabile dell’associazione non nega quel che sta avvenendo: «Svolgiamo attività di preghiera, anche se non è ancora iniziata». Il vigile però, quel giorno, è entrato nel palazzo proprio per verificare la fondatezza di un esposto presentato dai condomini, che raccontano di un centinaio di fedeli musulmani che già si radunano in quel locale.Comunque il responsabile della comunità spiega chiaramente: «I lavori edili sono finalizzati al prossimo futuro uso dei locali per raduni di preghiera, anche se non è stato ancora chiesto il cambio di destinazione d’uso da magazzino a luogo di culto». Nello stesso pomeriggio l’agente scrive la sua relazione, allega venti fotografie e invia il dossier agli uffici superiori della Polizia locale, del Comune, della Asl e dei vigili del fuoco.Quel verbale e quelle immagini, come quelli che seguiranno fino al 2017 e che il Corriere ha potuto consultare, rappresentano una cronaca, anno per anno, di come nasce e si struttura una moschea «abusiva» a Milano (e in Italia): sotto gli occhi e il costante controllo delle autorità, senza alcun segreto da nascondere alle istituzioni.A Milano sono nate almeno una dozzina di moschee «di fatto», illegali ma tollerate, conosciute ma non (legalmente) riconosciute. In via Cavalcanti però esiste un’«aggravante», perché quella moschea di circa 500 metri quadri si trova in un condominio, con tutti gli evidenti problemi di convivenza con gli abitanti.Ed è per questo che l’amministrazione di quel palazzo, Sif Italia Srl, con gli avvocati Gennaro Colangelo ed Elisa Boreatti, si sta battendo con una mole di esposti al Comune, al prefetto, al questore e ai vigili del fuoco: per chiedere un intervento che metta fine al «disagio dei condomini che vedono attoniti il loro stabile, proprietà privata, frequentato illegittimamente da una moltitudine di sconosciuti», e dei cittadini della zona che assistono «a funzioni religiose non autorizzate, come la festa del sacrificio». I legali sottolineano il massimo rispetto per la libertà di preghiera, ma denunciano le gravi difficoltà di convivenza tra la moschea e il condominio, «con evidenti rischi anche per la sicurezza e l’igiene pubblica».In quattro anni, da quel primo intervento dei vigili, la moschea di via Cavalcanti è diventata un punto di riferimento per la comunità musulmana del Bangladesh che vive e lavora nei quartieri tra la Centrale e via Benedetto Marcello. Il Nucleo urbanistica della Polizia locale ha fatto almeno altri due sopralluoghi nella moschea, il primo ad aprile 2015, il secondo ad agosto 2017. E questa volta ha accertato tre fatti di rilievo. Il primo, in qualche modo ovvio, è che in via Cavalcanti esiste ormai un luogo di preghiera consolidato (anche se non c’erano segnali di una scuola «abusiva», come qualcuno sospettava). Dopo altre verifiche, gli agenti hanno però scoperto che al catasto il locale è ancora censito nella categoria C/2 (deposito) e nessuno ha chiesto il cambio di destinazione d’uso. Ma il «Milan muslim center», il 17 febbraio 2016, ha acquistato il magazzino. La moschea dunque, da quel momento, non è più in affitto, ma è proprietaria del locale.
E’ la Milano di Salah.
Ma le moschee sono solo l’aspetto esteriore di qualcosa di più profondo: l’invasione islamica. Che è demografica.
Secondo uno studio che abbiamo già presentato,questo sarà l’andamento della presenza musulmana in Europa nei prossimi anni, a seconda del livello di immigrazione:
Ai ritmi attuali, in Italia avremo oltre 8 milioni di residenti musulmani entro il 2050:
I numeri ci dicono che quasi il 19 per cento della popolazione residente non è italiana già oggi.
E già oggi, circa un terzo dei nuovi nati è straniero. Incrociando i dati della ricerca PEW e gli attuali numeri di Milano, visto che la crescita di immigrati musulmani mima quella degli immigrati in generale, si scopre che, a questi ritmi, e senza opporsi, nel 2050 questo comune sarà abitato da una minoranza italiana del 40%. Il resto, tutti immigrati e figli/nipoti di immigrati, sarà composto da un 25% di islamici e un 35% di altra religione. Sono numeri arrotondati.
Se diamo ragione al grafico in alto, il punto di non ritorno per Milano, che la renderà la prima grande città ‘italiana’ a maggioranza straniera, arriverà intorno al 2040, quando la presenza di immigrati islamici e non sarà cresciuta di un fattore superiore a 2.5 rispetto a oggi.
Quindi, se non facciamo qualcosa, i figli di chi oggi va a scuola, conosceranno una Milano dove sono stranieri.
Quando vi dicono che non c’è alcuna invasione, mentono. Non è assolutamente il tempo di votare partiti moderati. Ci potrà salvare solo quello che loro chiamano ‘estremismo’.
Perché sia chiaro: questa è una guerra combattuta a colpi di ‘bambini’. E tutto questo accadrà solo se ci arrendiamo. Ma la resa non è tra le opzioni.
Perché se già oggi che sono minoranza si permettono di pregare Allah davanti al Duomo e di invadere la strade della città, quando saranno maggioranza del Duomo faranno una moschea.
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