STRAGE DI ERBA, SPUNTANO NUOVI TESTIMONI CHE ACCUSANO MAROCCHINI – VIDEO
Ora Abdi Kais, assieme a Oueslati Lofti, si dice disponibile a parlarne anche con i magistrati
“Siamo pronti a parlare con i pm”. Martedì scorso, nel servizio che potete vedere qui sopra, con Antonino Monteleone e Marco Occhipinti abbiamo raccolto la testimonianza di Abdi Kais che frequentava la casa della strage proprio nei mesi precedenti alla mattanza e racconta di una forte rivalità tra il gruppo di tunisini vicini ad Azouz Marzouk e quello dei marocchini che spacciava nella stessa zona, sfociata in una rissa con coltellate. Tutto questo risalirebbe a un anno prima della strage di Erba che vide l’11 dicembre 2013 l’omicidio della moglie di Azouz, Raffaella Castagna, del figlio Youssef della madre di lei Paola Galli e della vicina di casa Valeria Cherubini, e per cui sono stati condannati all’ergastolo Rosa Bazzi e Olindo Romano.
Dopo la nostra intervista ad Abdi Kais e quella sul settimanale Oggi del giornalista d’inchiesta Edoardo Montolli, uno dei principali esperti del caso di Erba che abbiamo sentito anche nei nostri servizi, arriva ora una nota dell’avvocato Stefano Iai. I suoi assistiti Abdi Kais e Oueslati Lofti, fa sapere, “hanno manifestato la disponibilità a essere sentiti, nelle forme e secondo le modalità indicate dall’autorità giudiziaria competente cui è stata inviata specifica nota, con riferimento a una rissa tra l’entourage di Azouz Marzouk e un gruppo di cittadini marocchini dei quali gli stessi Lofti e Kais non ricordano l’identità, consumatasi nell’anno antecedente il gravissimo e plurimo episodio omicidiario. Nelle interviste Abdi Kais non ha inteso muovere accuse verso alcuno, ritenendo nondimeno utile raccontare il singolare episodio della rissa, di cui conserva fotografico ricordo, al fine di consentire l’approfondimento delle ragioni che possono esserne state la causa, offrendo, perciò, di poterlo anche testimoniare davanti all’autorità giudiziaria italiana”.
“Alcuni marocchini hanno accoltellato me, il fratello di Azouz, Borhen il cugino e il fratello di Borhen che abita a Como. C’erano problemi per motivi di droga”, ci ha raccontato Abdi Kais nel servizio che potete vedere qui sopra. Secondo le sue dichiarazioni i tunisini avrebbero avuto la peggio con ferite di arma da taglio e Abdi sarebbe andato in ospedale per farsi medicare. L’episodio avrebbe dato luogo a una vera e propria faida tra i due gruppi. E non solo: “Un tunisino, Amer, nascondeva sempre cocaina nella cantina (di Azouz e Raffaella, ndr)”, racconta ancora Kais. “Perché dai nascondigli del bosco di fronte a Merone spesso veniva a mancare”. Abdi Kais sostiene che quantitativi di cocaina venissero nascosti nella cantina della casa di Raffaella e di Azouz, a due passi da piazza del Mercato, la piazza dello spaccio a Erba.
Dichiarazioni inedite, che rafforzano le ragioni di chi crede ancora oggi che sarebbe importante poter analizzare quei reperti mai analizzati ritrovati nella casa. Su questo e su altri temi, il nostro Antonino Monteleone è appena intervenuto con un articolo pubblicato dal quotidiano La Verità, che potete leggere cliccando qui, in risposta agli attacchi Selvaggia Lucarelli e Gianluigi Nuzzi, conduttore della trasmissione tv Quarto grado.
C’è infatti chi ha ipotizzato dall’inizio la presenza di killer sconosciuti ai quali, secondo la difesa e non solo, avrebbero potuto portare le piste alternative che non potrebbero non essere state indagate fino in fondo dagli inquirenti nei giorni successivi alla strage. Tra le piste principali inizialmente c’era proprio quella delle “cattive frequentazioni” di Azouz Marzouk, il tunisino con precedenti penali che quella sera ha perso ciò che aveva di più caro al mondo e che non è affatto convinto dalle conclusioni a cui sono giunti 26 giudici in tre gradi di giudizio.
I carabinieri di Erba tra le prime ipotesi avevano considerato la concorrenzialità di diverse etnie nell’attività di spaccio tra i tunisini vicini ad Azouz, che gravitavano nel comune di Merone, e gli albanesi di Ponte Lambro (entrambe località in provincia di Como e poco distanti da Erba). L’ipotesi presto fu scartata perché i carabinieri non trovarono riscontri. Ma mai nessuno fino ad oggi aveva raccontato della rivalità dei tunisini, in quel periodo, con un altro gruppo che spacciava nella zona.
Abdi Kais, tunisino arrestato insieme ai componenti del “clan Marzouk” e che risultava residente nella casa di Azouz e Raffaella, luogo di ritrovo per amici e parenti del tunisino, ci ha parlato proprio di questa ipotesi, per una rivalità con un gruppo di marocchini. Racconta ad Antonino Monteleone di una forte rivalità tra il gruppo di tunisini vicini ad Azouz Marzouk e quello dei marocchini che spacciava nella stessa zona tra Erba e Merone, comuni in provincia di Como. Rivalità che sarebbe sfociata in una rissa con accoltellamento da parte dei marocchini ai danni di Abdi Kais e del fratello e di due cugini di Azouz Marzouk.
Secondo Kais non furono Rosa e Olindo a commettere la strage, perché a suo dire incompatibili per corporatura, preparazione fisica, velocità di esecuzione a quel tipo di mattanza di donne e uomini sgozzati: “Sono 5 persone, non una o due. Guardando Olindo e Rosa, non è possibile. La corporatura di Raffaella era abbastanza forte, non è facile buttarla giù per terra. Invece quei marocchini erano aggressivi per il modo in cui hanno tirato fuori i coltelli, io non me lo immaginavo, per di più sono anche un atleta quindi so difendermi”.
La Cassazione ha appena detto no alla richiesta degli avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano di analizzare nuovi reperti della strage di Erba, rinvenuti sulla scena del crimine e che in dodici anni nessuno prima d’ora ha mai esaminato. Tra questi ci sono gli abiti dell’unico superstite Mario Frigerio e del piccolo Youssef Marzouk. Negli anni scorsi per tre volte la difesa di Rosa e Olindo ha chiesto alla Cassazione di poter analizzare i reperti rinvenuti sulla scena del crimine e nonostante tre decisioni favorevoli in tal senso, le Corti di Como e Brescia di volta in volta non hanno acconsentito a queste analisi.
E così per la quarta volta la difesa di Rosa e Olindo è tornata in Cassazione. “Purtroppo è arrivata una notizia contraria”, dice Fabio Schembri, avvocato di Rosa Bazzi e Olindo Romano. “Nel senso che c’è stato un rigetto che allo stato impedisce l’analisi di questi reperti, che sarebbe stato molto importante analizzare al fine di presentare insieme ad altri elementi la richiesta di riapertura del processo”.
Il ricorso è stato respinto, ma rimane ancora uno spiraglio riguardo alle motivazioni, non ancora pubblicate, che accompagneranno questa decisione. “Io mi auguro e spero che nella motivazione la Corte di Cassazione possa indicare una strada tramite la quale farci analizzare questi reperti”, continua Schembri. Un’eventuale analisi dei reperti potrebbe risultare decisiva a rintracciare quel dna di Rosa e Olindo mai ritrovato sulla scena del crimine e buttare quindi via la chiave che rinchiude i due condannati oppure a individuare il dna di estranei, che farebbe pensare alla presenza di killer sconosciuti, e in questa eventualità a riaprire il caso.
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