«Non volevo ucciderlo» ha sussurrato Fredy ai carabinieri accanto al corpo del moldavo. È sconvolto il gommista aretino che si è chiuso nel più completo silenzio, non interrotto neanche quando all'altro capo del filo c’era il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Solo per il tramite del suo avvocato, Alessandra Cheli, trapelano frasi smozzicate, pronunciate evidentemente da un uomo sotto choc. «Voglio solo stare con i miei familiari e non vedo l’ora di incontrare i magistrati», ha detto ancora. Stato d’animo testimoniato dallo sfogo con la legale, «cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?». E ha ricordato anche un’intervista rilasciata al nostro giornale nel marzo scorso dopo l’ennesimo tentativo di furto ai suoi danni: è appunto con in mano il quotidiano di quel giorno che lui e l’avvocato sono entrati ieri mattina nella caserma dei carabinieri di Monte San Savino. È la fotografia esatta dello stato di esasperazione di Fredy Pacini, il modo per far capire che la sua vita è diventata un inferno, che lui da ben quattro anni si costringe suo malgrado agli arresti domiciliari, da quando dorme tutte le notti in un piccolo spazio allestito all'interno dell’azienda. Vale la pena, ricordarle quelle parole, rilasciate dietro precise domande. Raccontava l’uomo di cui ieri ha parlato tutta l’Italia: «Io prigioniero dei ladri, ho lasciato casa nel 2014, ho subito tantissimi furti e non c’era modo di affrontare altrimenti il problema». L’intervista arrivava dopo l’ultimo episodio avvenuto nella notte precedente: «Ho cacciato i ladri, avevano spaccato un vetro. Li ho sorpresi mentre stavano entrando, sono sceso dal letto e dietro di me è arrivato anche il mio cane». Lo stesso cane che era al suo fianco nella notte dei tragici spari. In quel 2014 a Pacini avevano rubato costosissime biciclette, «un danno da migliaia e migliaia di euro, in meno di due minuti si sono portati via decine di bici». Scoraggiato anche dai sistemi d’allarme: «Ho avuto razzie fulminanti, una volta in un istante mi hanno svuotato l’officina, a che serve l’allarme? Quando arrivi, quelli sono già scappati chissà dove». Una difficile routine: a cena con la moglie Luciana e la figlia Ilaria, poi di nuovo in azienda a dormire. Un sonno che l’altra notte è stato interrotto bruscamente dal piccone dei due moldavi che spaccavano la vetrina, il primo rumore che ha squarciato la notte, seguito da quelli dei cinque colpi di pistola. «Mi ero fatto intervistare dal giornale – ha detto ieri al suo avvocato – perché pensavo che così avrei scoraggiato i ladri dal prendermi di mira».
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