martedì 29 settembre 2020

MILITARE ANNEGATO, MOGLIE ACCUSA: “MANDATO A MORIRE DALLO STATO SENZA ATTREZZATURA”










Del resto salvava ragazzini italiani, mica traghettava clandestini.

Domani sarà eseguita l’autopsia sul corpo di Aurelio Visalli, il sottufficiale della Capitaneria annegato nel tentativo di salvare due ragazzini a Milazzo. Lo ha deciso la Procura di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).

Gli inquirenti indagano sulle modalità con cui è stato ricercato l’uomo, dopo
che il cognato ha denunciato ritardi e mezzi inadeguati per le ricerche.Intanto un video apparso sul web confermerebbe che il militare, come detto dal cognato, non aveva l’attrezzatura adatdatta per il salvataggio in mare.

“Mio marito è morto per l’incompetenza di chi l’ha mandato a salvare due ragazzi senza alcun tipo di attrezzatura”. A dichiararlo la moglie Tindara Grosso. Ogni mattina ripeteva al figlio Riccardo che andava a difendere la Patria, ma, secondo Tindara, “la Patria non lo ha difeso”.

Abbracciata alla bara avvolta nel tricolore, Tindara accusa: “ho appreso della morte del marito “solo da una tv privata, correndo su Internet, chiamando la Capitaneria”. Secondo la donna, il 40enne sarebbe morto per l’incompetenza di “chi l’ha mandato a salvare due ragazzi senza un giubbotto, senza funi, senza mezzi…”.

“Aurelio era un uomo razionale, conosceva il pericolo”, ha spiegato Francesca Grosso, cognata della vittima e moglie di Antonio Crea, comandante dei vigili di Venetico. Grosso ha poi aggiunto: “Non è possibile che sia stato inghiottito da un’onda a riva. Ecco perché vorremmo parlare con i due testimoni”.

I due testimoni sono i colleghi che sono stati mandati insieme ad Aurelio a salvare le due persone in difficoltà tra le onde: “Li hanno mandati tutti e tre a salvare la gente in mutande, hanno lasciato le divise sulla sabbia e senza attrezzi, senza funi o giubbotti. Cosa sia veramente accaduto non vogliono dirlo”, ha affermato ancora Francesca Grosso.

La cognata della vittima spiega che ogni volta che provano a chiedere un incontro con questi due colleghi, “si chiudono le porte”.

La camera ardente allestita in Municipio non basta ai parenti della vittima come gesto di solidarietà: “La camera ardente c’è perché l’abbiamo chiesta io e mio marito. Dieci minuti dopo il riconoscimento, ci hanno detto di portare la salma a casa. Per loro dovevamo pure sbrigarci”, ha raccontato con sconcerto la cognata.







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