DAI CENTRI SOCIALI A SCENDILETTO DI MATTARELLA: LA RESISTIBILE ASCESA DEL ‘COMPAGNO’ FICO
GENNAIO 30, 2021
Forte il suo monito a tutte le forze politiche: “Il Paese è in emergenza sanitaria, sociale ed economica. Servono misure urgenti”.
E’ urgente che vi togliate dalle palle.
È il 24 marzo 2018 quando quel ragazzotto con barba incolta, jeans e zainetto che va in bus viene chiamato sullo scranno più alto della Camera. Il segreto dell’era Fico? Mollare subito Beppe Grillo. Affidarsi completamente ai consigli del presidente Mattarella. Così da guadagnarsi il rispetto di tutte le forze politiche. Una guida equilibrata, senza partigianeria. Senza colpi di testa. Al punto che nessun partito avanza mai richieste di dimissioni. Cosa che invece è accaduta per due illustri predecessori: Laura Boldrini e Gianfranco Fini. Che all’esordio sulla poltrona di presidente della Camera potevano esibire un pedigree istituzionale superiore al parlamentare napoletano. Il passato del presidente Fico fa rabbrividire. Prima della militanza grillina, Fico calca le stanze dei centri sociali partenopei. Vicino all’ambientalismo di sinistra, il numero uno di Montecitorio si muove tra piazza Bellini e piazza del Gesù: un covo di estremisti e sinistra rivoluzionaria. Nelle pause dell’attività politica ritorna in quei luoghi insieme alla compagna Ivonne. Il perfetto incendiario, trasformato in 33 mesi in un pompiere. Poi l’incontro con Grillo: è colpo di fulmine. Alle spalle ci sono due esperienze elettorali deludenti (regionali 2010 e comunali 2011) prima dell’approdo in Parlamento. Da presidente della commissione Vigilanza Rai (2013-2018) inizia a toccare con mano il Palazzo. Con il successo dei 5s alle politiche nel 2018, si apre la strada verso la guida dell’Aula di Montecitorio. Pochi incidenti di percorso. Si contano sulle dita di una mano. C’è chi gli rimprovera la scarsa attenzione per i protocolli istituzionali e il bon ton: ha sfilato davanti al picchetto dei corazzieri in alta uniforme del Quirinale senza abbottonarsi la giacca. Altri due scivoloni: il pugno sinistro alzato in occasione della parata del 2 giugno per la Festa della Repubblica e le mani in tasca durante una commemorazione a Palermo della strage di Capaci. Proprio mentre viene intonato l’inno di Mameli. Scivoloni che fanno infuriare i patrioti.
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