IMMIGRATO: “SPACCIO IN NOME DI ALLAH PER UCCIDERE VOI ITALIANI CON LA DROGA”
GENNAIO 12, 2023
IL PD VUOLE FACILITARE QUESTO PROCESSO LEGALIZZANDOLA E QUINDI AMPLIANDO LA PLATEA DEI CONSUMATORI, SPERANO IN QUESTO MODO DI AUMENTARE IL NUMERO DEI PROPRI ELETTORI
Il racconto choc di un pusher tunisino rivela che dietro lo spaccio di droga c’è anche il jihad: “I soldi per comprare la droga? Me li presta un imam”. Sanno che una popolazione di zombie è più aperta all’immigrazione. Si fa invadere ‘tranquillamente’.
Del resto, è quello che fecero gli inglesi con l’oppio in Cina.
In Italia, finora, niente bombe o kamikaze. Perché non abbiamo ancora abbastanza figli di immigrati islamici di seconda generazione. Ma si combatte un jihad con armi diverse.
Soldati compresi, magari talvolta ignari, di certo balordi; in molti casi «integrati» ma con poco o nulla da perdere. Un esercito sottostimato, spesso munito di permesso di soggiorno o in attesa, chi con le stimmate del profugo, chi del disoccupato giunto in questo ex Belpaese quando l’immigrazione ancora non suonava come allarme.
Hussein, Jamaa, lMaahi, Hassan, Mohammed, si possono cambiare nomi e volti, la sostanza non muta. Vivono nell’illegalità. Soprattutto spacciando: hashish, cocaina, pastiglie, un po’ di tutto a seconda di ciò che richiede il bazaar dello sballo milanese. «Piccola criminalità» derubricano troppe volte gli investigatori. Il denaro in ballo, al contrario, non è poco. Gli uomini del Califfato lo sanno. E, a quanto pare, anche qualche «predicatore» di Allah.
«La droga? I soldi per comprarla ce li presta l’imam della moschea. Basta che entro un paio di giorni gli vengano restituiti. Con gli interessi. Se mi dà 500 gli rido 600… lui la chiama offerta».
L’ammissione spaventa, chi ci parla deve rimanere anonimo. È un tunisino, in Italia da 20 anni. Circumnaviga la zona di via Padova. Chi sia l’imam non lo vuole dire, nonostante la baldanzosa e ingenua ammissione. Ma in fondo, almeno nell’ambiente del malaffare da strada targato Nordafrica, la rotta dell’approvvigionamento finanziario la conoscono in molti. Ai buoni pagatori il credito non si nega. Si narra che il business l’avesse architettato Abu Omar, l’ex imam egiziano della moschea di viale Jenner a Milano, sospettato di terrorismo e rapito nel 2003 dalla Cia. La leggenda metropolitana racconta anche che gli investimenti nel piccolo narcotraffico lui li riservasse soprattutto ai marocchini.
Da allora la guerra dei tagliagole si è intensificata anche sul fronte occidentale. Ogni arma è buona, disperati e cani sciolti, una volta manipolati e sfruttati, servono alla causa. Tutto è lecito.
Nelle moschee si prega, così come si può preparare la battaglia. Fidelizzando, indottrinando.«L’imam ripete che la droga non dobbiamo venderla ai fratelli musulmani ma solo agli infedeli», racconta ancora il nostro loquace pusher. Fa parte della strategia. L’avvelenamento è riservato ai cristiani. La regola? Lo stupefacente non va tagliato troppo, e soprattutto non con sostanze troppo nocive «perché così potremo guadagnare sugli infedeli fino all’ultimo facendoli morire lentamente». Ecco l’ultima agghiacciante spiegazione.
In via Padova, ormai zona simbolo di abbandono e violenza, come in altri tanti suburbi non di periferia, da qualche settimana, a fianco di polizia e carabinieri vigilano pure i soldati con il loro possenti fucili-mitragliatori. Di fronte al civico 144 – dentro il quale travestita da centro culturale fiorisce da anni una tanto molesta quanto iperaffollata moschea – capannelli stranieri e via vai dal sapore malandrino, continuano. Un poco meno intensi, forse più discreti dell’estate, ma sempre presenti.
Un negozio di copisteria, nonché internet point, a pochi passi, lavora secondo i consueti ritmi arabi. Orari compresi. Solo le facce conosciute, gli amici degli amici, possono fotocopiare, soprattutto falsificare – grazie a un ottimo servizio «paint» -, domande di richiesta di soggiorno, così come altre utili attestazioni rilasciate da uffici pubblici o ignari datori di lavoro. Le matrici sono originali, date e generalità adattate all’uopo. Duecento metri più avanti, verso piazzale Loreto, la piazza dove circa un mese fa si è consumato l’ennesimo omicidio capace finalmente di richiamare l’attenzione di sindaco e governo, l’umanità si rimescola. Qui etnie sudamericane mostrano colori diversi. Altri duecento metri a fianco, nelle strade parallele, stazionano prostitute e padroni dell’Est. Ecco i miracoli della globalizzazione mentre nei supermercati di zona i nostri prodotti scarseggiano. «Perché tanto ormai da queste parti gli italiani sono sempre di meno e il prosciutto non si vende», spiegano sconsolati commessi.
Suona paradossale, eppure è vero. Il consiglio di zona 2, mesi or sono, con finanziamenti europei e del ministero dell’Interno aveva finanziato un progetto per promuovere la coesione sociale e l’integrazione. Al telefono un’impiegata rispose così: «Serve agli abitanti per imparare a convivere. Con gli stranieri…».
E’ NOTORIO CHE ISIS E IL TERRORISMO ISLAMICO USA LO SPACCIO PER FINANZIARSI – INSIEME AL TRAFFICO DI IMMIGRATI CHE POI RISULTA UTILE ANCHE PER AUMENTARE LA MANODOPERA DI SPACCIATORI – E QUESTA INTERVISTA RISULTA ANCORA PIU’ INQUIETANTE SE DOPO LEGGETE QUESTO:
E’ l’integrazione. Le risorse che stiamo importando e che ‘fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare”: come votare PD e spacciare.
La notizia del cognato spacciatore dell’islamica del PD, era stata messa in evidenza dalla pagina Facebook Stop Muslim Brotherhood in Italia e ‘Informare per Resistere’.
Il cognato di Sumaya Abdel Qader, la candidata con Sala alle amministrative, Issam Kabakebbji, nel gennaio 2008 veniva arrestato dalla polizia milanese con l’accusa di coltivare e spacciare droga. Issam è figlio del presidente del Caim e del Waqf al- Islami, Maher Kabakebbji.
La notizia viene confermata da un articolo del Corriere della Sera, del 31 gennaio 2008: “Le tecniche apprese attraverso Internet. Coltiva marijuana con lampada abbronzante. Uno studente ‘italiano’ di origini siriane, Issam Kabakebbji, spacciava erba che cresceva nella serra casalinga”.
“Issam Kabalebbji, 28 anni, italiano di origini siriane, studente di economia all’università Bicocca, invece di approfondire le teorie di Keynes o di Samuelson, preferiva investire il suo tempo (e il suo talento) in un’altra direzione: come coltivare in casa la miglior marijuana di Milano. Tanti sforzi e tanti studi (specie spulciando internet sino a notte fonda) sono andati in fumo (si fa per dire) quando martedì, allorquando si trovava a Verona, ha ricevuto una telefonata: ‘C’è un allagamento nel piano sottostante casa sua. Venga immediatamente perché abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco’. Una scusa bella e buona inventata dal commissario Angelo Murtas, del commissariato Città-Studi, per farlo tornare. Al rientro in via Malpighi 8, lo studente è stato arrestato e posto ai domiciliari. In casa (un appartamento di 6 stanze condiviso con fotomodelli e studenti) i poliziotti hanno trovato un porta-abito portatile allestito come una vera e propria serra provvisto di impianto di climatizzazione e aspirazione e filtro contro gli odori. E anche con una lampada Uva. Il tutto per far crescere delle piante di 70 centimetri di marijuana”.
Il sito “Informare per Resistere” pubblica le foto della serra casalinga e della “segnaletica” di Kabakebbji Issam.
Lo spacciatore è stato ringraziato dalla stessa Sumaya in un post del 20 giugno. Dopo essere stata eletta, infatti, tra i nomi citati c’è anche Issam Kabakebbji che ora si occupa di comunicazione, marketing e social network. Del resto è esperto, di ‘marketing’.
Issam era noto in ambiente Pd visto che si era mobilitato molto a favore dell’assessore Pierfrancesco Majorino, alle primarie del 6-7 febbraio, come mostrano i numerosi screenshot sul suo profilo Facebook:
Anche lo spaccio di droga è un modo per gli islamici della Fratellanza per indebolire le nostre società rincoglionendo i giovani. Non è un caso che gli spacciatori siano al 99 per cento arabi e nordafricani: oltre al guadagno, c’è dietro un disegno più ampio.
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