sabato 9 luglio 2022

 BREAKING NEWS, INVASIONE, LAMPEDUSA

STATO ITALIANO COMPLICE DEGLI SCAFISTI: 1.500 DA LAMPEDUSA SU TRENI VERSO NORD A SPACCIARE E STUPRARE

LUGLIO 7, 2022





Il Viminale è l’agenzia viaggi dei trafficanti. L’unico lavoro di questi scrocconi di stato è trainarli a terra e poi da Lampedusa con le navi trasferirli in Sicilia. Dove li caricano su treni verso nord. Come lo stupratori di Milano. Come migliaia di spacciatori. Come il decapitatore di Nizza. Come centinaia di stupratori.

Lo Stato italiano è chiaramente illegale.


Cinquanta tunisini, fra cui due donne, sono giunti – ed è stato il quarto sbarco dalla mezzanotte – a Lampedusa. L’imbarcazione di 12 metri, partita da Sfax, è stata intercettata a 2 miglia e mezzo dalla costa da una motovedetta della Guardia di finanza. Anche questo gruppo è stato portato all’hotspot di contrada Imbriacola dove i presenti, adesso, sono 1.516 a fronte di 350 posti disponibili.

Trentasette migranti, con tre diversi barchini, sono arrivati, durante la notte, a Lampedusa. Il primo natante, con 24 persone provenienti da Bangladesh, Egitto, Sudan ed Eritrea, è stato intercettato da una motovedetta della Guardia di finanza a 7 miglia dal porto di Lampedusa. L’imbarcazione di 6 metri è partita da Abu Kammash in Libia. Sette i sedicenti siriani, fra cui una donna, che sono stati invece bloccati dai finanzieri sul lungomare Luigi Rizzo dopo l’approdo della «carretta», che era salpata da Tripoli, a Cala Spugne. A tre miglia dal porto, sempre le Fiamme gialle hanno infine intercettato un gommone, partito da Mahdia in Tunisia, con 6 tunisini a bordo. Anche i tre gruppetti sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola dove, all’alba, erano presenti 1.497 ospiti a fronte dei 350 posti disponibili. Sul traghetto di linea, che giungerà in serata a Porto Empedocle (Ag), sono stati trasportati 40 migranti.

«La situazione igienico-sanitaria, con oltre 1.400 persone all’interno dell’hotspot, è allarmante. Quattrocento, cinquecento persone si riescono a gestire senza alcun problema, ma 1.400 è un numero esagerato e con 36 gradi è ancora più complicato». Lo ha detto il neo sindaco di Lampedusa e Linosa, Filippo Mannino, che è in costante contatto con la Prefettura di Agrigento e il ministero dell’Interno per sollecitare i trasferimenti dei migranti. «Sono in attesa di una conferma – spiega Mannino – , ma in giornata dovrebbe arrivare la nave Diciotti che caricherà un gran numero di migranti e, di fatto, alleggerirà la struttura di contrada Imbriacola».













Israele: il paese che tutti amano così tanto da volersene andare

di Michele Laitman

Se volessimo credere ai sondaggi, e c’è da chiedersi quanto possano essere attendibili, sembra che Israele sia un posto molto felice. Secondo il Rapporto annuale sulla Felicità nel Mondo, anche nel 2017, come nei precedenti due anni, Israele si conferma il paese più felice del mondo. Il Professor Jeffrey Sachs, economista e consigliere speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, riguardo al rapporto ha detto: “I paesi felici sono quelli che hanno un sano equilibrio fra prosperità e capitale sociale, il che significa un alto grado di fiducia nella società, poca disuguaglianza e affidabilità del governo”. Ma se Israele è questo posto talmente meraviglioso per viverci, ancor più di Germania, Giappone, USA e Regno Unito, come mai altri sondaggi dimostrano che “più di un terzo degli Israeliani se potesse lascerebbe il paese”?
Il problema degli israeliani non è con la terra di Israele, ma con gli altri israeliani che ci vivono. In poche parole, non ci sopportiamo a vicenda. Ma non solo molti israeliani che vivono in Israele vorrebbero vivere all’estero, gli israeliani immigrati si integrano più di qualsiasi altra fazione del Giudaismo. Apparentemente, gli israeliani che vivono all’estero vogliono farla finita definitivamente anche con il Giudaismo.



Abramo insegnò loro ad unirsi. Dato che il popolo accorso presso Abramo non condivideva né parentela biologica, né prossimità geografica, tutto ciò che avevano in comune era l’adesione all’idea di unione. Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe e Mosè, tutti loro insegnarono l’unione al popolo d’Israele. Quando fuggirono dall’Egitto sotto la guida di Mosè, non erano ancora un popolo. Ottennero questo status solo quando decisero di vivere “Come un solo uomo con un solo cuore”.
In quel momento, non solo fu dato loro l’appellativo di “nazione”, ma venne anche affidato loro il compito di trasmettere il loro unico “collante nazionale”. Nelle parole della Torah, venne comandato loro di essere “Una luce per le nazioni”. I primi ebrei sapevano che il loro compito era condividere col mondo il loro metodo di unione, proprio come Abramo, il quale cercò di insegnarlo a tutti i suoi concittadini nell’antica Babilonia prima di partire per la terra di Israele.
Per circa 18 secoli, il popolo ebraico ha alimentato e sviluppato il suo metodo di connessione. Attraverso prove estreme, ha estratto l’essenza della legge ebraica in poche, parole semplici. Come disse Hillel il Vecchio: “Ciò che tu odi, non farlo al tuo prossimo; questo è tutta la Torah” (Shabbat, 31a).
Approssimativamente nel periodo della distruzione del Tempio e dell’esilio dalla terra d’Israele, Rabbi Akiva cercò di insegnare a coloro che ancora non erano consumati da litigi interni. Egli affermò: “Ama il prossimo tuo come te stesso; questa è la grande regola della Torah” (Talmud di Gerusalemme, Nedarim, 30b).
Purtroppo, fra noi prevalse l’odio e il popolo ebraico si disperse nel mondo. Rispetto all’essenza del Giudaismo, che è l’amore per gli altri, in quel tempo smettemmo di essere Ebrei. Siamo diventati, invece, ancora più carichi di odio di quanto non lo fossimo prima che Abramo ci unisse. Ora, la nostra distanza originaria, l’animosità attuale e il peso del compito di essere una luce per le nazioni, rendono ancora più forte e profondo il nostro disprezzo reciproco.
Per comprendere il livello di odio fra gli ebrei, nel periodo della distruzione del Tempio, pensate al più brutto processo di divorzio che si possa immaginare e applicatelo ad un’intera nazione. Se la coppia separata non si fosse mai incontrata, avremmo semplicemente avuto due estranei, probabilmente indifferenti l’uno all’altra. Ma dopo essersi incontrati, innamorati e poi aver smesso di amarsi al punto di arrivare alla reciproca diffidenza e al disprezzo, il rifiuto che sentono è molto più appassionato di quello che avrebbero potuto provare degli sconosciuti.
Quest’odio profondo è al centro del disprezzo degli israeliti per il loro paese ed è il motivo che spinge gli ebrei in tutto il mondo ad integrarsi in massa con le popolazioni che li ospitano. In realtà, se non fosse per l’antisemitismo, gli ebrei sarebbero scomparsi già da tempo. L’odio delle nazioni è l’unica cosa che tiene insieme gli ebrei.

Tutto fuorché ebreo
Se potessimo, preferiremmo non essere affatto ebrei. Il 58% degli ebrei si sposa al di fuori della fede religiosa e il numero di matrimoni misti fra gli israeliani che vivono all’estero, è ancora più elevato. Ogni volta che ci viene data la libertà di integrarci con le popolazioni locali, lo facciamo ma, quando lo facciamo, soffriamo terribilmente. I due esempi più significativi di questo processo sono anche i due eventi più traumatici nella nostra storia, dopo la distruzione del Tempio: l’Inquisizione con l’espulsione finale dalla Spagna e l’Olocausto.
A causa del nostro antico compito, ovvero, portare la luce alle nazioni, non ci è mai stato permesso di integrarci fino alla completa estinzione. All’ultimo momento, arriva sempre un super cattivo che ci punisce e ci costringe a riunirci.
Talvolta, ma non sempre, sentiamo che l’odio delle nazioni è collegato al nostro odio reciproco, ma quando lo capiamo, in genere è troppo tardi. Per esempio, nel 1929, il Dott. Kurt Fleischer, capo dei Liberali all’Assemblea della Comunità Ebraica di Berlino, sostenne che “l’Antisemitismo è il flagello che Dio ci ha mandato per indurci a stare insieme e ad unirci”.
Oggi ci sono anche ebrei che capiscono l’importanza fondamentale dell’unione ebraica per la nostra sopravvivenza. In riferimento alla Comunità Ebraica Americana, meno di due settimane fa Isi Leibler, capo ebraico veterano della Diaspora, ha scritto: “Oggi, volendo dare una definizione all’autodistruzione, basta volgere lo sguardo sul considerevole numero di capi irresponsabili, ma di maggior successo e fra i più potenti, della comunità della diaspora ebraica: sembrano impazziti e stanno alimentando l’antisemitismo” proprio perché sono davvero molto di parte.
Possiamo attribuire a molte cause la recente ondata di antisemitismo, ma la verità è che proviene dalla nostra divisione interna. Dato che siamo destinati ad essere un faro di unione per il mondo, quando facciamo il contrario, le nazioni del mondo ci imitano; si odiano fra loro e, in particolare, odiano noi.
Molti di noi vogliono essere tutto tranne che ebrei e, per quanto concerne amare il prossimo come noi stessi, in realtà non lo facciamo. Eppure niente ci libererà dal nostro dovere verso il mondo. Gli Stati Uniti sono oggi in procinto di relazionarsi con gli ebrei come ha fatto l’Europa nel secolo scorso.

Passare oltre l’odio
Nonostante la tetra previsione, c’è molto che oggi possiamo fare e che non potevamo fare allora. Oggi abbiamo la consapevolezza della vitalità dell’unione che, come comunità, non abbiamo avuto prima. Non dobbiamo sederci e osservare come le cose vadano di male in peggio, e non serve ascoltare le parole dei nostri capi che calmano la gente e la rassicurano sul loro futuro, come hanno fatto i capi ebraici prima dell’Olocausto. Invece, noi possiamo e dobbiamo assumere un atteggiamento proattivo e dobbiamo usare le opportunità che abbiamo per ristabilire la solidarietà fra noi.
Tra poco più di una settimana celebreremo Pesach (Pasqua ebraica), la festa della libertà. Ma come possiamo parlare di libertà quando siamo schiavi del nostro odio? Nel libro Likutey Halachot (Regole Assortite) è scritto: “L’essenza della vitalità, dell’esistenza e della correzione della creazione vengono raggiunte da persone di differenti opinioni integrate fra loro con amore, unione e pace”.
I nostri saggi hanno sempre saputo che l’unione è la chiave della nostra libertà, felicità e pace. Anche Il Libro dello Zohar sottolinea l’importanza di superare l’odio e di unirsi. Lo Zohar (porzione Aharei Mot) scrive: “Ecco quanto è bello e piacevole che i fratelli siedano insieme. Questi sono gli amici che siedono insieme e non sono separati gli uni dagli altri. In un primo momento, sembrano persone in guerra che desiderano uccidersi le une con le altre. Ma poi tornano ad essere in amore fraterno… E voi, gli amici che sono qui, dato che siete stati in affetto e in amore prima, d’ora in poi non vi separerete… E per merito vostro ci sarà la pace nel mondo”.



Dovremmo sapere che la nostra felicità non dipende da chi sposiamo o da dove viviamo. Dipende solo da come ci relazioniamo alla gente della nostra nazione: gli ebrei. La sola libertà che ci serve è la libertà dal nostro odio interno. Se raggiungeremo questo, ripristineremo la nostra posizione come luce fra le nazioni, ed i popoli del mondo smetteranno di odiarci e di odiarsi a vicenda.
Durante la nostra prima Pesach, nel deserto del Sinai, ci siamo uniti e siamo diventati una nazione. Ora, dobbiamo farlo di nuovo e dobbiamo riconquistare la nostra nazione. Il passaggio che dobbiamo fare non è attraversare un mare, ma oltrepassare il mare dell’odio che sentiamo per i nostri fratelli. Se realizzeremo anche solo una parte di questa nobile aspirazione durante la prossima Pesach, le nuvole scure che si addensano attorno agli ebrei in tutto il mondo potrebbero portare nient’altro che pioggia. Ma i rovesci sono già cominciati ed il tempo sta finendo. Il compito davanti a noi è palesemente chiaro: mettere da parte la nostra faziosità e l’antipatia reciproca, e stabilire un legame al di sopra del nostro odio perché tutto il mondo possa vedere, credere ed imitare.

31 marzo 2017

://www.ilvangelo-israele.it/indexmar17-II.html



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