UN ESERCITO DI 140MILA IMMIGRATI ESIGE ACCOGLIENZA IN ITALIA
FEBBRAIO 1, 2021
“Sono oltre 140mila le richieste di asilo presentate dai migranti che attendono una risposta da parte delle autorità italiane. La maggioranza (quasi 95mila) aspetta il responso delle Sezioni immigrazione dei tribunali che decidono sui ricorsi contro le bocciature delle domande da parte delle Commissioni territoriali del ministero dell’Interno, cui spetta il primo esame delle richieste. Le pendenze si sono impennate soprattutto nel 2019 (+53% rispetto all’anno prima), spinte dall’aumento dei nuovi ricorsi. Anche i tempi di decisione si sono dilatati ben oltre i quattro mesi previsti dalla legge, che i tribunali non riescono a rispettare: la maggior parte supera i 15 mesi e alcuni arrivano a tre anni, come rivelano i dati raccolti dal Sole 24 Ore del Lunedì presso le sezioni immigrazione. L’onda dei ricorsi si è poi allungata in Cassazione, che decide sulle impugnazioni delle decisioni dei tribunali: le pendenze a fine 2020 erano 13.101, il 153% in più di due anni prima. Ridotte a 33.808, invece, le domande oggi in attesa di fronte alle Commissioni, sia per il rafforzamento di questi organismi, sia per il calo degli arrivi dei migranti dopo il boom del 2017. Diversi i fattori alla base dell’impasse degli uffici giudiziari. La riforma contenuta nel decreto legge 13 del 2017 cancellò il secondo grado e istituì 26 Sezioni specializzate nei tribunali delle città sede di Corte d’appello, dove i ricorsi sono decisi da un collegio di tre giudici, mentre prima si applicava il rito monocratico. Ma gli obiettivi di razionalizzare e migliorare la qualità delle decisioni e di velocizzare l’esame dei ricorsi, non sono stati centrati: è stata infatti una riforma a costo zero (come quasi tutte le riforme della giustizia degli ultimi anni) e i tribunali hanno dovuto far fronte al numero crescente di ricorsi con il personale e le risorse esistenti. La situazione è poi fortemente peggiorata nel 2019, con l’aumento delle impugnazioni, salite in media del 23% rispetto all’anno prima, soprattutto per la crescita dei dinieghi da parte delle commissioni territoriali. A ottobre 2018 il decreto sicurezza 113, voluto dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini (e ora modificato dal decreto legge 130 del 19 ottobre 2020), aveva infatti cancellato il permesso di soggiorno per protezione umanitaria, che era la tipologia di protezione più “concessa” dalle commissioni territoriali, rispetto allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. Una stretta che aveva fatto crescere da subito i “no” dal 60-63% all’80% e, a cascata, incrementato le impugnazioni. «L’aumento dei dinieghi ha fatto crescere le impugnazioni che l’insufficienza dell’organico impedisce di smaltire nei tempi dovuti – spiega il presidente del Tribunale di Bologna, Francesco Caruso -. Servirebbero dieci giudici mentre ce ne sono solo 4. Non si possono scoprire altri settori come la famiglia, l’impresa e i contratti, nei quali siamo impegnati per legge a realizzare rigorosi programmi di rientro dall’arretrato “patologico” e a ridurre la durata media di tutti i procedimenti». Nel 2020, i nuovi fascicoli sono diminuiti poiché il lockdown ha rallentato l’attività delle commissioni, ma questo non ha inciso sul livello delle pendenze. «Con l’organico attuale, tre giudici e 8 onorari, impegnati anche in altre materie delicate, ci vorranno circa 7 anni per chiudere i 5.070 fascicoli che si sono accumulati», aggiunge Massimo Escher, presidente della sezione immigrazione di Catania. Da Trieste (dove le pendenze in materia di immigrazione rappresentano quasi il 50% delle pendenze civili totali del Tribunale) a Milano (dove l’arretrato della sezione è salito dell’843% rispetto al 2017) la preoccupazione è diffusa. E va precisato che alcuni tribunali sono stati investiti più di altri dal boom dei ricorsi: soprattutto, quelli dei grandi centri e delle città del Nord. Un effetto della riduzione degli arrivi degli ultimi anni, come ipotizza Matteo Villa, ricercatore programma migrazioni dell’Ispi: «I ricorsi contro i dinieghi della protezione internazionale sono spesso presentati da persone che non sono in accoglienza ma si sono spostate verso le aree dove è più facile trovare lavoro».”,
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