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domenica 2 settembre 2018
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PATRONAGGIO, IL VIZIO DI ARRESTARE INNOCENTI
SETTEMBRE 2, 2018
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Il caso finì sulle prime pagine e in tv: a venire sbattuto in galera fu l’avvocato Peppe Arnone, noto in Sicilia per le sue battaglie ambientaliste e antimafia. Esponente del Pci prima, e del Pd poi.
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Il 12 novembre 2016 la procura di Patronaggio lo fece arrestare per estorsione mentre usciva dallo studio di un collega con due assegni in tasca per un totale di 14mila euro. Un ricatto per la Procura. Una normale transazione per conto di una cliente, secondo Arnone.
Luigi Patronaggio diramò un comunicato stampa parlando di «robuste prove» a carico dell’avvocato. Dopo tre giorni di galera Arnone va ai domiciliari, ma il 25 novembre la Procura lo riporta in galere. Una persecuzione.
Arnone denuncia il suo arresto come l’effetto della sua guerra contro i «poteri forti» che governerebbero la città: con pezzi della magistratura, cui l’avvocato rimprovera di «avere calpestato le leggi dello Stato come uva da mosto».
Arnone fa ricorso al tribunale del Riesame. E i giudici scrivono: «Una condotta così veicolata e una richiesta di denaro avanzata e soddisfatta con assegni circolari, per altro posta in essere da un avvocato penalista, non appare certo univocamente sintomatica» né del reato di estorsione e nemmeno di quello assai più blando di «esercizio arbitrario delle proprie ragioni».
Patronaggio non molla l’osso e ricorre in Cassazione: che il 6 aprile 2017 dà ragione ad Arnone.
E l’altro giorno Arnone, da vittima a vittima, ha scritto a Matteo Salvini: «Io Patronaggio lo conosco bene. Se vuole, la difendo io».
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