martedì 27 settembre 2022

 BREAKING NEWS, CRIMINI IMMIGRATI, INVASIONE

SUO PADRE UCCISO DA KABOBO. “PD VUOLE SOSTITUIRCI CON IMMIGRATI” – VIDEO

SETTEMBRE 27, 2022







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Andrea Masini, figlio di Ermanno Masini, il 64enne ucciso a Milano da Adam Kabobo, racconta il suo calvario. E boccia lo ius soli della sinistra: “Dietro la cittadinanza agli stranieri ci sono interessi politici e consensi”

Ermanno Masini aveva 64 anni quando Kabobo lo uccise a picconate otto anni fa. Alessandro Carole, invece, ne aveva quaranta.


Aveva detto alla mamma: «Scendo al bar che ha appena aperto perché non riesco a dormire». Non tornerà più a casa.

Alessandro Carole era uno dei tanti disoccupati dell’Italia di oggi, dove gli immigrati stanno sostituendo gli italiani.

Per lui, la sostituzione fu brutale. Uscito di casa trovò infatti Mada Kabobo, ghanese di 31 anni, richiedente asilo e con precedenti penali, raccattato in Libia da qualche Ong.

La sua vita finì lì, sull’asfalto bagnato del suo sangue. Sangue di italiano.

Il profugo lo colpì alla testa con l’ormai ‘famoso’ piccone. Una, due, tre, chissà quante volte, per infierire quando lo vide al suolo.

«Un ragazzo tranquillo, silenzioso. Non aveva mai fatto del male al nessuno, era l’esatto contrario di un attaccabrighe». Poi Alessandro ha incontrato il “migrante”.

Prima di lui, il “migrante” aveva già preso a picconate tre persone, altri tre italiani, in altrettanti punti del quartiere Niguarda, zona nord di Milano. Ma il ghanese cercò altri italiani da ammazzare. Aveva sete del nostro sangue.

Così, in via Monterotondo trovò Daniele, un ragazzo di 21 anni, appena rientrato in casa dopo una notte di lavoro in giro per rifornire edicole, che alla vista del piccone insanguinato tentò di fuggire, inutilmente: il profugo lo colpì alla testa, più di una volta. Con sempre più accanimento, fino a fargli perdere materia cerebrale.

Morirono in tre, Daniele Carella, di 21 anni, Ermanno Masini, di 64, e Alessandro. Morirono di integrazione.

Erano i tempi della Kyenge ministro. Lì, iniziò la mattanza di italiani che negli anni che seguirono si trasformò in un genocidio per sostituzione etnica. E in altri massacri.

Era otto anni fa. Oggi. E voi buonisti avete le mani ancora sporche di sangue. Pagherete il conto. Dovete pagarlo.

Ermanno Masini fu ucciso a picconate mentre portava a spasso il cane in via Adriatico, nel quartiere Niguarda di Milano, poco dopo l’alba del 11 maggio 2013. A corpirlo mortalmente fu l’immigrato ghanese Adam Kabobo che, nella stessa mattinata, assassinò anche Alessandro Carolè e Daniele Carella attentando, altresì, alla vita di altre quattro persone.

Condannato a 20 anni carcere nell’aprile del 2014, con il riconoscimento del vizio parziale di mente, il “killer del piccone” rischia di ora guadagnare un ulteriore scomputo a seguito del ricalcolo (al ribasso) della pena. “È assurdo pensare che una persona possa scontare così poco per 3 omicidi e 4 tentati omicidi. In un altro Paese avrebbe avuto l’ergastolo. Se fosse stato un cittadino italiano, forse sarebbe finita in un altro modo”, dice a ilGiornale.it Andrea, il figlio di Ermanno Masini.

La strage avvenuta al quartiere Niguarda riaccende il dibattito sull’immigrazione, tema caldo di questi giorni dopo il rilancio dello Ius soli da parte del Pd. Un tiro mancino per chi come Andrea ha perso il padre per mano di un irregolare sul territorio italia che, al tempo, era stato accolto nel Cara di Bari “a buon cuore”. “Lo Ius soli è semplicemente una formula pensata ad hoc per aggirare l’ostacolo della cittadinanza italiana per gli stranieri. – continua Andrea – Dietro tutto questo, a parer mio, c’è un meccanismo politico fatto di interessi e consensi”.

Cosa ricorda di quel giorno?

“Ricordo tutto nei minimi particolari. Era l’unico giorno in cui non avevo portato con me il telefono. Mia moglie è stata contattata dalla polizia, le hanno detto che c’era stato un problema con mio padre, che aveva avuto una sorta d’incidente, e che doveva recarsi subito al Policlinico. Ovviamente mi ha avvertito e siamo andati in ospedale. Inizialmente mi hanno detto che fosse giunto al pronto soccorso in codice giallo quindi non ho pensato a qualcosa di grave. Ma quando sono entrato nella sala d’attesa dell’ospedale, ho avuto subito una sensazione strana perché in televisione scorrevano le notizie dell’ultim’ora dei telegiornali. Guardando i monitor ho riconosciuto le immagini del quartiere Niguarda, dove sono cresciuto e dove mio padre è stato aggredito. Pochi istanti dopo, sono stato condotto in una stanza dove ad attendermi c’erano dei medici. Così ho appreso che mio padre era in fin di vita. Successivamente mi sono recato in questura e ho scoperto cosa gli fosse successo. In un attimo, sono stato catapultato in una situazione quasi paradossale, sicuramente assurda”.

Quando ha scoperto che suo padre era stato colpito a morte da uno sconosciuto armato di piccone, senza alcun motivo evidente, cosa ha pensato?

“Inizialmente ho pensato si trattasse di un tentato furto finito molto male. Dopo ho capito che questa persona, in realtà, era in giro già dalle cinque del mattino a colpire a caso ogni persona che trovava sul suo cammino. Le prime persone aggredite, seppur gravemente ferite, sono state ‘fortunate’ perché Kabobo le ha colpite con una spranga. Poi, purtroppo, è riuscito a recuperare un piccone da un cantiere e con quello è riuscito a colpire tre persone”.

Come ha reagito quando ha saputo che si trattava di un immigrato già noto alle forze dell’ordine?

“Quando ho capito che si trattava di un extracomunitario con precedenti penali, che era stato più volte in carcere e più volte rilasciato per decorrenza dei termini, mi sono molto risentito. La conferma evidente che in questo Paese non si fa assolutamente nulla per quello che riguarda il problema dell’immigrazione clandestina, soprattutto con persone già note alle Forze dell’Ordine”.

Cosa intende dire?

“Io non punto il dito contro il primo immigrato che arriva Italia etichettandolo come un ‘delinquente’ solo perché, magari, non parla la mia stessa lingua. Però se è un soggetto abituato a entrare ed uscire dal carcere, ci penserei due volte a tenerlo sul territorio. Ma nel nostro Paese questo non accade. Purtroppo, in Italia, si rincorre solo chi ruba una mela. E poi, invece, permettiamo che delle persone vengano uccise a caso. Non è possibile, non è concepibile. Ho più volte ripetuto che lo Stato è assente e ancora lo penso. Lo Stato è complice quando si verificano tragedie del genere”.

Può chiarire il motivo per cui ritiene lo Stato “complice” di questa tragedia?

“Se non avesse permesso l’ingresso di questa persona sul nostro territorio o, in ogni caso, se lo avesse sorvegliato così come bisognava fare dal momento che era un ‘habitué’ del carcere, molto probabilmente questa cosa non sarebbe accaduta”.

A Kabobo è stata riconosciuta la semi-infermità mentale. Come interpreta questo dato?

“Per fortuna, direi, gli è stata riconosciuto solo un vizio parziale di mente. La perizia psichiatrica dice chiaramente che Kabobo non è una persona con squilibri mentali tali da giustificare la ferocia con cui ha colpito. Il perito psichiatrico ha fatto un lavoro certosino riuscendo a dimostrare che la condotta antisociale e violenta di Kabobo non ha nulla a che fare con il suo vissuto. Sicuramente ha condotto una vita ai margini ma, in certe piccole realtà del mondo, la violenza rappresenta la consuetudine. Ovviamente non sto parlando di località o centri abitati ma di luoghi molto circoscritti, zone rurali, dove si vive ai margini. È brutto pensare che in certi posti la violenza, espressa con questa modalità così estreme sia accettata, ma purtroppo è così”

Tra rito abbreviato e sconto di pena, Kababo è stato condannato a 20 anni di carcere. Ritiene che sia una pena congrua per ciò che ha fatto?

“Stiamo parlando di circa 6 anni e mezzo di carcere per ciascun omicidio commesso, faccia lei. Il problema è che, tra ulteriori sconti e premi di cui potrebbe beneficiare, rischia di farsi non più di 16 anni di carcere. Anzi, il mio avvocato ha fatto un calcolo a spanne di circa 11/12 anni. È assurdo pensare che una persona possa scontare così poco per 3 omicidi e 4 tentati omicidi. In un altro Paese avrebbe avuto l’ergastolo. Se fosse stato un cittadino italiano, forse sarebbe finita in un altro modo”.

Dunque pensa che se al posto di Kabobo ci fosse stata un’altra persona la pena sarebbe stata diversa?

“Il problema è che in Italia si usano pesi e misure diverse. Il fatto che sia un immigrato, sicuramente con un vissuto difficile, non può diventare un’attenuante. Chi uccide non dovrebbe mai cavarsela con qualche anno di galera, indipendentemente dal proprio background personale o culturale. Eppure, in Italia va così. Ne è la riprova ciò che è successo al leader della Lega, Matteo Salvini”.

A cosa si riferisce?

“Se un ministro viene accusato e processato per aver trattenuto dei profughi su una nave semplicemente perché intendeva fare luce su una situazione poco chiara, vuol dire davvero che il Paese non funziona. Non c’entra nulla l’avere o meno simpatia per Salvini, questo è un modo di fare che si vede solo in Italia. Evidentemente Salvini ha messo il naso in un contesto dove qualcuno aveva interessi economici e quindi l’unica soluzione per fermarlo era farlo fuori politicamente. Dietro l’immigrazione ci sono interessi filo-politici ed economici”.

Quindi è contrario allo Ius soli?

“Sono assolutamente in disaccordo. Lo Ius soli è semplicemente una formula pensata ad hoc per aggirare l’ostacolo della cittadinanza italiana per gli stranieri. Dietro tutto questo, a parer mio, c’è un meccanismo politico fatto di interessi e consensi. Potenzialmente lo straniero che ottiene la cittadinanza può garantire un voto in più a chi gli ha concesso certi benefici. Non c’è nulla di sentimentale nello Ius soli. L’immigrazione è un business, a nessuno interessa sul serio il bene della persona che, ipoteticamente, è scappata dalla guerra nel suo Paese. Dietro c’è solo e soltanto il Dio Denaro”.

Rimanendo in tema, un’altra nota dolente riguarda il risarcimento economico stabilito per la morte di suo padre. Si parla di 200mila euro, giusto?

“Circa, sì. E non ho ricevuto – ma probabilmente mai accadrà – neanche un centesimo. Al di là della cifra stabilita che neanche mi interessa a fronte della perdita affettiva, di ben altro valore, non è pensabile che anche su questo lo Stato sia assente. Kabobo risulta nullatenente e, allora, fine della storia”.

Lei ha un figlio piccolo. Gli ha raccontato cosa è accaduto?

“Lui è all’oscuro di tutto, è ancora troppo piccolo”.

Quando sarà grande, come glielo spiegherà?

“Francamente non lo so. Spero di trovare una formula addolcita, le parole giuste per raccontargli cosa è accaduto al nonno. Quando sarà il momento, ci penserò”.

So che è credente. Riuscirà mai a perdonare Kabobo?

“No, mai. Mio padre era una brava persona ed è stato ucciso senza motivo. Come si può perdonare?”

Il loro piano è noto da tempo:

















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